IV. Innammorati di Lollove
Descrizione
Lollobe ha trecentosessantasette abitanti, cinquantasei case e due elettori. Ci si arriva, partendo da Nuoro, per una stradicciuola, ora erta, ora scoscesa, ghiaiosa e dirupata, traversando vallette, umide e fosche, e monticelli brulli e desolati. Durante la gita chi vi fa da guida vi potrà mostrare pochi palmi di terra o qualche fonte, dove cadde assassinato qualche viandante, e voi per il nitido cielo d’inverno potrete scorgere dei gloriosi voli di falconi che spiccati dai calvi cucuzzoli dei monti d’attorno, navigano l’aria stridendo al sole.
E il sole fa palpitare i quercioli e le elci sparse tra le roccie e biancheggiare l’acqua del torrente che scende e mormora portando lontano, lontano la cantilena dei lavoratori e delle lavandaie.
Lollove, cinto da poche siepi di leccio, da alcuni mandorli intristiti e da molte agavi ed olivastri pallidi, appare giù nella valle, abbandonato, come un morto nella bara. Quando io mi vi recai, pedibusse cum chambisse, come diceva Tartarius, era il giorno dell’Epifania.
In quel paese nessuna traccia del passaggio dei Re Magi, i bei vegliardi dallo scettro d’oro. Dappertutto un silenzio di siesta estiva, e solo un sentore di sugo fritto che veniva fuori da un casolare ove si facevan gli onori della piccola Pasqua a un chiomato e pellito ospite di Orgosolo.
Grazie a una pagina come questa, consegnata da Sebastiano Satta a La Nuova Sardegna nel gennaio del 1896, è possibile immaginare l’aspetto di Lollove ai tempi di Grazia Deledda. L’immaginazione non è di certo costretta a chissà quale sforzo: a Lollove, come in certi altri paesi sardi (ad esempio Rebeccu o Gairo Vecchio), il tempo si è in qualche modo fermato. Oggi gli abitanti del piccolo borgo, frazione di Nuoro, a una quindicina di chilometri dal capoluogo, si contano sulle dita di tre mani. Se dunque da un lato manca il quieto brulicame di quelle poche centinaia di anime, il numero delle case resta invece praticamente invariato.
Il quadretto abbozzato da Satta lo ritroviamo all’interno di uno dei più celebri, e riusciti, romanzi deleddiani, La madre, pubblicato nel 1920. Alla fortuna di questo libro contribuì anche un film di Mario Monicelli, Proibito (1954) interpretato da Mel Ferrer, Amedeo Nazzari e Lea Massari. Il film è però soltanto un libero adattamento da La madre, sulla cui trama intensa ma asciutta si innesta una storia di banditi funzionale al tipo di ambientazione ‘western’ voluta da regista e produzione. La pellicola, inoltre, è girata in alcuni centri del nord dell’isola (principalmente a Tissi, Codrongianos e Thiesi), lontani da quella Lollove che, nell’immaginazione realistica della scrittrice, prendeva il nome di Aar. Con questo nome che suggerisce un certo esotismo, di vaga ispirazione biblica, Lollove entra nella grande geografia letteraria della Sardegna, come farà poi la Villacidro di Giuseppe Dessì, che in tanti romanzi – il più noto è Paese d’ombre – sarà nota come ‘Norbio’.
Quella di Lollove sarà una passeggiata letteraria ‘libera’, senza tappe particolari. Tuttavia, non si può che partire da quello che del borgo è a tutti gli effetti il punto centrale, nonostante si trovi più in alto di quasi tutti gli altri edifici: la Chiesa di Santa Maria Maddalena. Costruita nel XVI secolo, forse al posto di un edificio sacro preesistente, la chiesa è influenzata da uno stile tardo-gotico aragonese. Divisa in tre navate, nella parte posteriore si staglia il campanile cuspidato, unico elemento di verticalità in un borgo dove pressoché tutti gli edifici si sviluppano su un solo piano. Sul lato nord, a destra della facciata, è presente un portico con arcate ogivali, unico elemento intonacato. Di contro, la facciata oggi appare con i blocchi di granito a vista, e si affaccia sul borgo attraverso una terrazza: di conseguenza, gli scorci attraverso cui è visibile dal basso le restituiscono una certa, piccola maestosità (perfettamente intonata alle dimensioni del borgo).
Si trova all’interno un’incisione murale risalente al 1608, perfettamente leggibile, fatta fare da un parroco che era da poco succeduto a un altro, precedentemente assassinato. Il nuovo arrivato voleva comprensibilmente ingraziarsi la sua futura comunità, e per questo motivo fece scrivere:
P.P. GASOLE / NATIONE BITTI MANO / NULLUM PETIT NULLUM VOLET / QUAM VIVAT SINE DANO
(P.P. Gasole, nato nella grande Bitti, non chiede né vuole altro che non sia vivere senza danno)
Anche il protagonista maschile de La madre di Grazia Deledda è un prete, di nome Paulo, e anche lui è giunto forestiero nel piccolo borgo, succedendo inoltre a un parroco a dir poco ‘chiacchierato’. Col tempo si guadagnerà la fiducia della gente di Aar, ma nel momento in cui inizia l’azione romanzesca si trova costretto a fronteggiare, tra le altre cose, la paura del giudizio della comunità, in un rovello che vede il suo senso morale e il decoro della propria posizione in un corpo a corpo con la forza d’attrazione del desiderio. Ha infatti una relazione segreta con una parrocchiana, Agnese, appartenente alla famiglia nobile del borgo. Seppure di età ancora abbastanza giovane, nel pieno della sua bellezza, la donna vive sola nella sua grande casa. Molti romanzi di Deledda sono costruiti attorno allo schema che contrappone il desiderio alla sua stessa repressione, per i motivi più disparati. All’angoscia in cui questa situazione è vissuta da Paulo si aggiunge quella di sua madre, Maria Maddalena, che non a caso abita insieme al figlio nella casa parrocchiale (come già le protagoniste della Chiesa della solitudine) della chiesa che ha il suo stesso nome, almeno nella realtà del borgo al quale Deledda si è ispirata. Questi luoghi, la chiesa e la casa annessa, sono ora abitati con timore dalla donna, che avverte ciò che sta accadendo come sacrilego, e indirizza il senso di colpa verso visioni terrificanti, come quando, nel delirio, immagina di essere visitata dallo spirito del vecchio parroco:
Peggio per le vostre viscere, se avete voluto venire a star qui: era meglio che gli facevi fare il mestiere del padre, a tuo figlio. Ma tu sei una donna ambiziosa: hai voluto ritornare padrona dove sei stata serva. Adesso ti accorgerai del guadagno.
Con simili fosche premesse, è naturale che il romanzo si affacci sul borgo nel pieno della notte. E, per non farsi mancare nulla, ogni aspetto di descrizione dei luoghi è sempre accompagnato dall’urlo inquietante del vento. In questo brano, tratto dalle prime pagine del romanzo, troviamo il personaggio della madre nell’atto di seguire il figlio, non vista, in una sospetta uscita notturna. L’angoscia di Maria Maddalena è amplificata dall’atmosfera notturna e silenziosa del piccolo abitato, nel quale si intravvede come esso sia ispirato a Lollove:
Il vento la investì con violenza, gonfiandole il fazzoletto e le vesti; pareva volesse costringerla a rientrare: ella si legò forte il fazzoletto sotto il mento, e procedé a testa bassa come per dar di cozzo all’ostacolo: così rasentò la facciata della parrocchia, il muro dell’orto e la facciata della chiesa: arrivata all’angolo di questa, si fermò. Paulo aveva svoltato di là e attraversava quasi di volo, come un grande uccello nero, con le falde del mantello svolazzanti, il prato che si stendeva davanti ad una casa antica addossata quasi al ciglione che chiudeva l’orizzonte sopra il villaggio.
Il chiarore ora azzurro ora giallo della luna travolta da grandi nuvole in corsa illuminava il prato erboso, la piazzetta sterrata davanti alla chiesa e alla parrocchia, e due fila di casupole serpeggianti ai due lati d’una strada in pendio che andava a perdersi fra le macchie della vallata. E in mezzo a questa appariva, come un’altra strada grigia e tortuosa, il fiume che a sua volta andava a confondersi tra i fiumi e le strade del paesaggio fantastico che le nuvole, spinte dal vento, componevano e scomponevano ogni tanto sull’orizzonte allo sbocco della valle.
Nel paesetto già più non si vedeva un lume, un filo di fumo. Dormivano le povere casette arrampicate come due file di pecore su per la china erbosa, all’ombra della chiesetta che col suo esile campanile, riparato a sua volta sotto il ciglione, pareva il pastore appoggiato al suo vincastro.
Gli ontani in fila davanti al parapetto della piazza della chiesa, si sbattevano furiosi al vento, neri e sconvolti come mostri; al loro fruscìo rispondeva il lamento dei pioppi e dei canneti della valle: e a tutto quel dolore notturno, all’ansito del vento e al naufragare della luna fra le nuvole, si confondeva l’angoscia della madre che inseguiva il figlio.
Gli ontani in fila davanti al parapetto della piazza della chiesa, si sbattevano furiosi al vento, neri e sconvolti come mostri; al loro fruscìo rispondeva il lamento dei pioppi e dei canneti della valle: e a tutto quel dolore notturno, all’ansito del vento e al naufragare della luna fra le nuvole, si confondeva l’angoscia della madre che inseguiva il figlio.