Raffaello Marchi

Raffaello Marchi

Già raccontata da scrittori e poeti, e illustrata da pittori e disegnatori, quella Sardegna che dall’inizio del Novecento era passata attraverso i filtri finalmente “indigeni” delle arti letterarie e visive trovò, dalla metà del secolo, uno dei suoi cultori d’eccellenza nella figura di Raffaello Marchi. Questo demoetnoantropologo autodidatta, inizialmente poeta e già frequentatore del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, sarebbe stato uno dei più appassionati conoscitori di quegli usi e costumi regionali sui quali andarono a concentrarsi le rinnovate attenzioni di ricercatori e documentaristi di fama anche internazionale. Amico di Emilio e Joyce Lussu, di Severino e Luisa Delogu, stimato dall’etnografo Ernesto De Martino e mentore di artisti come il mamoiadino Giovanni Canu, “Lelio” Marchi condivise con la moglie – “la maestra resistente” Mariangela Maccioni – un percorso di vita basato sulla cultura e sulla libertà delle idee, animato principalmente da una curiosità trasversale e polivalente che tutt’oggi, in tempi di compiaciuto e accademico specialismo, ancora ne distingue il temperamento sui generis e privo di pregiudizi: una pluralità di interessi confermata dalla varietà delle pubblicazioni a sua firma (su quotidiani e riviste, come in volume) sulle tradizioni popolari sarde – dalle maschere alla religione passando per l’oralità e le scritture.

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