Priamo Gallisay

Nuoro, 19 ottobre 1853 - Ozieri, 30 luglio 1930
Figlio primogenito di don Gavino, più che agiato possidente al centro della vita economica, dunque sociale e politica, di Nuoro tra Ottocento e Novecento, Priamo Gallisay era destinato a divenire un musicista degno di notorietà e menzione. In virtù della sua spiccata predisposizione musicale, nel 1867 era stato mandato a studiare a Firenze, al Collegio di Vallelunga, dove si era subito distinto per merito nell’apprendimento delle varie materie e, ovviamente, nell’esercizio della musica, il cui Maestro deputato, Teodulo Mabellini, era stato discepolo di Saverio Mercadante. A seguirne i progressi, in questo periodo di lontananza dagli affetti, fu, tra l’altro, il politico nuorese Giorgio Asproni, molto amico del padre, che divenne una sorta di mentore per il talentuoso quattordicenne. Dati gli ottimi risultati, la sua istruzione proseguì in Svizzera, dove dal 1868 al 1871 frequentò il prestigioso Istituto Chateau di Lancy, presso Ginevra, diplomandosi a pieni voti. Il suo percorso formativo si concluse al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma – dove nel 1896 sarebbe divenuto Accademico Reale –, quando decise finalmente di orientare la scelta della materia di diploma in base al proprio principale talento: la composizione.
Dopo la parentesi del servizio militare (si era arruolato da volontario), nel 1876 Gallisay tornò in Sardegna e sposò a Ozieri, a ventisei anni, donna Battistina Tola, che gli avrebbe dato quattro figli. Il matrimonio, però, pare non fosse tra i più felici, e forse anche con questo pretesto l’artista intraprese a pieno regime la professione di insegnante di musica, i cui continui spostamenti di sede si evolvettero ben presto in una vera a propria esistenza bohémien. Il rovescio della medaglia sarebbe poi arrivato sottospecie economica, con l’esaurimento progressivo dell’eredità patrimoniale; in questo, come è stato notato, Gallisay si rivelò in un certo senso degno figlio del noto genitore, che nel romanzo Il giorno del giudizio (1977) di Salvatore Satta sarebbe stato descritto non a caso nell’atto di appicciare il suo sigaro Virginia servendosi di una banconota. L’attitudine scapigliata di Priamo, d’altra parte, non era condivisa da suo fratello, Menotti Gavino Francesco Giuseppe, nato sempre dalle nozze del padre con la sassarese donna Francesca Pilo: più piccolo di lui di tredici anni, Menotti (anche lui vittima di un’impietosa trasfigurazione letteraria nel romanzo sattiano) si sarebbe distinto per un impegno sociale, civile e politico invece estraneo al fratello maggiore, se è vero che nel 1913 arrivò a candidarsi in Parlamento come rappresentante delle istanze popolari (peraltro fallendo nel suo intento).
L’unico riscontro al quale il musicista Gallisay si dimostrò interessato nel corso di tutta la sua vita fu quello del pubblico e della critica, oltre che ovviamente dei suoi colleghi: negli anni trascorsi in giro per l’Italia aveva difatti avuto modo di frequentare nomi illustri nel campo della composizione, tra cui Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Amilcare Ponchielli. E tuttavia, la sua grande abilità compositiva, incentivata dall’aggiornamento costante, non gli valse mai il plauso a livello nazionale, e ciò anche a dispetto di una produzione ricca e versatile. Spaziò difatti tra tutti i generi: dalla musica da camera a quella religiosa o ballabile, dalle marce ai brani per esecuzione corale e addirittura accompagnamenti per le canzoni napoletane tratte da versi del poeta Salvatore Di Giacomo. A Nuoro, ad ogni modo, ebbe la stima della sua concittadina più illustre, Grazia Deledda, la quale, pur giovane ma già molto intraprendente, si adoperò per metterlo in contatto con Angelo de Gubernatis – lo stesso che l’aveva coinvolta nel progetto di indagine demologica che poi sarebbe sfociato nella pubblicazione del volumeTradizioni popolari di Nuoro. Grazie al tramite del futuro Premio Nobel, il 25 aprile 1895 la rivista “Vita Italiana” pubblicò i versi di Mattinata di marzo con l’accompagnamento di una partitura firmata da Gallisay. L’amica Deledda si sarebbe ricordata del musicista anche nel giorno importante delle sue nozze, quelle che poi l’avrebbero condotta finalmente a Roma: per il suo matrimonio, difatti, il compositore musicò appositamente una romanza per canto e pianoforte, dal titolo Serenata al Convento.
Esempio più importante del ruolo di Gallisay nel peculiare contesto dell’“Atene Sarda” – anche perché slegato da fatti di vita privata e animato da ben altra ambizione – resta però la trasformazione di Don Zua (1894), prima prova letteraria del pittore Antonio Ballero, nel melodramma Rossella (1897). Dopo avere ottenuto (a seguito di un’insistente opera di convincimento) che il poeta concittadino Pasquale Dessanay ne firmasse il libretto in lingua italiana – lui, che nel 1890 aveva pubblicato un canzoniere di liriche in logudorese “illustre”! – Gallisay compose le musiche, deciso a creare, per la Sardegna, un’opera lirica che potesse replicare quanto Amilcare Ponchielli aveva fatto con la Cavalleria Rusticana, rappresentata nel 1890 al Costanzi di Roma (l’attuale Teatro dell’Opera). Il desiderio di emulazione, volto a fare emergere appieno il senso della vita rustica barbaricina, riuscì però solo in parte. Nonostante il felice debutto al Teatro Sociale di Varese il 2 ottobre 1897, la critica ufficiale ignorò ben presto il melodramma “sardo”, e anzi interpretò l’eccesso di caratterizzazione regionale come un difetto, giudicò scadente il libretto di Dessanay e salvò la messa in scena solo in virtù della maestria degli interpreti. A Gallisay non sarebbe bastata la memoria trionfale delle venti chiamate in proscenio da parte del pubblico, di cui sedici solo per la sua persona e quattro con i solisti (il tenore Antonio Ceppi, il soprano Maria de Macchi e il basso Carlo Walter); anzi, è probabile che proprio il ricordo dei cantanti, sulla cui esclusiva bravura si erano concentrate le cronache del tempo per salvare il lavoro, avesse fatto dubitare il compositore delle proprie – pur eccellenti – qualità.
Gallisay non avrebbe più voluto creare alcunché: interruppe addirittura la sua collaborazione con il drammaturgo di successo Giuseppe Giacosa, del quale avrebbe dovuto musicare il libretto di La signora di Challant. La sua fu un’uscita di scena silenziosa e volontaria, una sorta di esilio muto e autoimposto che, anche per la morte che lo colse malato e assistito dalla figlia nella casa di Ozieri, rese poca o nulla giustizia al prestigio innegabile delle sue composizioni, i cui destinatari d’occasione erano stati non di rado esponenti di primissimo piano politico – la Regina d’Italia Elena di Savoia –, ecclesiastico – Papa Pio X, ma anche i vescovi di Bosa e Ozieri, Monsignor Eugenio Cano e Monsignor Filippo Bacciu – e, non ultimo, artistico – dal celebre tenore Francesco Tamagno alla stimata scrittrice Grazia Deledda, che tra le prime aveva dimostrato di credere in lui.
Bibliografia essenziale
- A. BALLERO, Don Zua: storia di una famiglia nobile nel centro della Sardegna, Sassari, Dessì, 1894, 2 v.;
- E. CORDA, Storia di Nuoro. 1830-1950, Milano, Rusconi, 1987;
- E. CORDA, Atene Sarda. Storie di vita nuorese. 1886-1946, Milano, Rusconi, 1992;
- A. BALLERO, Don Zua: storia di una famiglia nobile nel centro della Sardegna; Vergini bionde. Macchie sarde, L. Mulas (a cura di), Nuoro, Ilisso, 1997;
- G. PITITU, Nuoro nella Belle Époque, Cagliari, Edizioni AM&D, 1998;
- M. CORDA, Elogio del Microcosmo. Saggi di cultura nuorese, Milano, Mondadori, 2001;
- S. SATTA, Il giorno del giudizio, Padova, CEDAM, 1977; Milano, Adelphi, 1979; Nuoro, Ilisso, 1999; Nuoro, Il Maestrale, 2006;
- M. CORDA, L’identità culturale nuorese tra mito e storia, Volume I, Cagliari, Arkadia, 2010;
- L. PIRAS, Priamo Gallisay. Alla scoperta di un ateniese sardo, in “La Nuova Sardegna”, 1 febbraio 2014
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