Nicolina Deledda

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Nuoro,8 marzo 1879- Roma, 14 ottobre 1972

Nicolina – detta anche Nicoletta, Coletta, Nicoccola, Cola, Allina – era la settima e ultima figlia nella numerosa famiglia di Giovanni Antonio Deledda e Francesca Cambosu. Otto anni la separavano dall’adorata sorella Grazia, nata nel 1871, che proprio con lei instaurò un rapporto cementato dagli interessi culturali comuni e da una complicità destinata a divenire sodalizio artistico. Come la scrittrice, anche lei fu completamente autodidatta: tutto ciò che apprese in materia di pittura, illustrazione e arti applicate – questi i suoi campi d’elezione – lo dovette a uno studio autonomo e appassionato, e soprattutto alla frequentazione diretta dei migliori artisti della Belle Époque sarda e italiana, e dei rappresentanti a livello nazionale del movimento Arts and Crafts. Tutte amicizie comuni a lei e alla sorella, coltivate sia negli anni nuoresi sia in quelli romani e durante le lunghe villeggiature estive in Versilia e in Romagna.

Nicolina visse a Nuoro fino al 1913: fino a quando, cioè, non vendette la dimora paterna e decise di trasferirsi nella Capitale per raggiungere la sorella scrittrice, che già vi risiedeva dal 1900, poco dopo le nozze (pare che proprio questa compravendita sia stata motivo di uno screzio passeggero tra le due). Per tutti gli anni Dieci, ogni estate Nicolina aveva atteso trepidante il ritorno di Grazia in città, per accompagnarsi con lei a quella élite colta che animava l’Atene della Sardegna, e che fu la sua prima vera “scuola”: se nei dipinti di matrice divisionista è certamente evidente il tramite del pittore Antonio Ballero (a sua volta influenzato dai dipinti di Giuseppe Pellizza da Volpedo), la frequentazione dello scultore Francesco Ciusa, futuro fondatore della SPICA (Società per l’Industria Ceramica Artistica, nel 1919) e poi direttore della Scuola d’Arte Applicate di Oristano (dal 1925), dovette suggestionarla non poco relativamente all’interesse per l’artigianato, nel quale a propria volta si sarebbe cimentata realizzando giocattoli, arazzi colorati e vasi decorati.

Nicolina fu però, soprattutto, un’illustratrice, un campo in cui all’inizio del XX secolo gli artisti sardi – Giuseppe Biasi, Mario Delitala, Melkiorre Melis tra gli altri – avevano dato prova d’eccellenza; un settore che nell’Isola avrebbe avuto anche alcune valide esponenti femminili, quali la sassarese Edina Altara, la cagliaritana Anna Marongiu e le sorelle Giuseppina e Albina Coroneo. Proprio come i più affermati nomi del campo della grafica, anche Nicolina ebbe occasione di curare le immagini per alcune novelle della sorella, pubblicate su riviste nazionali: dopo il disegno di accompagnamento alla poesia di Grazia dal titolo Vita Sarda, edita su “La Vita Italiana” di Angelo De Gubernatis (era il 1894: Nicolina non aveva che quindici anni), la piccola di casa Deledda illustrò, tra le altre, Il fazzoletto con la cifra (su “Tutto”, 1919), Il muflone (su “Regina”, 1920), L’anellino d’argento e Il mio padrino (sul “Corriere dei Piccoli”del 1922 e 1923). Intorno al 1920 si concentra anche la produzione di dipinti a tempera, prevalentemente di soggetto folkloristico, nei quali appare evidente proprio il debito nei confronti dell’illustrazione, ma non mancheranno dipinti di ispirazione espressionista influenzati dalle correnti avanguardistiche europee; nel 1923, inoltre, insieme con Melkiorre Melis, Mario Mossa de Murtas e Giovanni Ciusa Romagna, Nicolina sarà presente alla Mostra degli Amatori e Cultori di Roma.

Legatissima alla sorella, sua fedele compagna e complice – a Roma le loro case erano divise appena da un cortile – Nicolina fu con lei anche nelle villeggiature a Viareggio nel corso degli anni Dieci e poi, dal 1920, a Cervia; e se nella Capitale era solita frequentare lo studio di Vincenzo Jerace – autore della statua del Redentore posta sul monte Ortobene di Nuoro – durante i soggiorni estivi, sempre da ospite di Grazia, ebbe occasione di conoscere scrittori di prestigio amici della sorella (come Marino Moretti) e alcuni tra i più importanti artisti italiani, alcuni dei quali ne avrebbero influenzato l’orientamento in favore delle arti applicate; in particolare l’eclettico Galileo Chini (pittore, ceramista, illustratore, architetto e scenografo) e l’illustratore Aleardo Terzi, senza dimenticare gli scultori Giovanni Prini e Arturo Dazzi e pittori quali Camillo Innocenti, Giulio Aristide Sartorio, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani, Moses Levy e Filippo De Pisis.

Nicolina era probabilmente la più aggraziata tra le sorelle Deledda, nonché la più suscettibile alle lusinghe della moda: nel 1920, in occasione della sua (prima e unica) mostra personale al Lyceum di Roma, l’amico Melkiorre Melis la ritrarrà in un’affettuosa caricatura dalla quale si evince una (costosa) passione per i cappellini vezzosi. Tuttavia, anche per gli strascichi di un’operazione chirurgica subita nel 1917, preferì ritirarsi progressivamente a vita privata. Fino alla tarda maturità continuerà a dedicarsi alle sue passioni confortata da Lello e Mirella, figli della sorella Peppina affidatigli da Grazia già a metà degli anni Trenta, quando ormai era gravemente ammalata. Pochi giorni prima di morire, più che novantenne, Nicolina dettò proprio alla nipote una frase che sarebbe piaciuta alla scrittrice, e che conferma quanto il loro fosse un sodalizio spirituale ancora prima che estetico: «il tempo non ha spazio è niente ed è eterno, è Dio e noi siamo Dio se lo vogliamo, e anche se non lo vogliamo è Dio che lo vuole».

 

Bibliografia essenziale

  • AA. VV. , Grazia Deledda. Biografia e romanzo, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1987;
  • G. ALTEA, M. MAGNANI, Le matite di un popolo barbaro. Grafici e illustratori sardi 1905-1935, Silvana Editoriale, 1990;
  • S. PETRIGNANI, La scrittrice abita qui, Vicenza, Neri Pozza, 2002
  • N. DE GIOVANNI, Come la nube sopra il mare. Vita di Grazia Deledda, Alghero, Nemapress, 2006

 

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