Mariangela Maccioni

Nuoro, 17 aprile 1891 - 26 settembre 1958
Fu l’esempio del padre Sebastiano – maestro per quattro decenni nonché unico diplomato di una famiglia di piccoli proprietari terrieri, convinto socialista e fondatore della prima società operaia di Nuoro – a far nascere in Mariangela Maccioni la passione per l’insegnamento e per l’impegno politico. Meglio ancora: per la cultura come mezzo di redenzione e sopravvivenza, e per la militanza civile come massima forma di espressione etica e morale. Due costanti che non l’avrebbero mai abbandonata, e che anzi sarebbero state il suo vero sostegno nei numerosi drammi della vita, quella privata come quella pubblica.
Dopo avere frequentato a Nuoro le scuole elementari e il ginnasio, nel 1906 si iscrisse alla Scuola Normale Femminile “Margherita di Castelvì” di Sassari. Nel 1909 si diplomò e si abilitò alla docenza, e in autunno prese servizio a Mamoiada: l’entità di quel “debutto” – una prima elementare con novanta bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni, a cui fare lezione in una struttura con banchi e sedie sufficienti appena per la metà, e con una percentuale di abbandono pari al cinquanta per cento in certi periodi dell’anno – già faceva presagire l’eccezionalità di quello che sarebbe stato il suo futuro servizio, e la persuase ben presto dell’usura psicologica di un mestiere tuttavia tra i più necessari e responsabilizzanti specialmente in una regione come la Sardegna. Dopo un passaggio a Orani nel 1911, durante il quale tenne una classe femminile, nel 1912 superò il Concorso per insegnante di tirocinio alla Scuola Normale di Nuoro, e si ritrovò così collega di quelle stesse donne che avevano dato i rudimenti a lei piccina.
Gli anni della prima guerra mondiale e fino al 1920 furono drammatici, segnati dalla morte del genitore e dei due fratelli, esuli tra USA, America Latina e Australia e deceduti entrambi in circostanze tragiche. Mariangela si ritrovò così sola con la madre Giuseppina, vedova e progressivamente invalida per via della cecità, e fu proprio in queste circostanze avvilenti e vincolanti – le stesse che le avrebbero materialmente impedito di lasciare Nuoro per Roma o Firenze – che avrebbe sperimentato la forza e la profonda consolazione della cultura. Negli anni grigi che videro l’instaurarsi della dittatura, Mariangela trasformò la sua casa di via Barisone in un vero cenacolo antifascista, frequentato da amiche-sorelle come Marianna Bussalai e Graziella Sechi (madre di Maria Giacobbe, che sarà sua studentessa), nonché dai suoi stessi allievi. Una contrapposizione ideologica che si tradusse anche in azioni di disobbedienza e provocazione: firmò la Sottoscrizione pro Matteotti; nel 1923 non andò alle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma; si rifiutò di tenere una lezione sul Duce ma insegnò Bandiera Rossa ai suoi studenti, altrimenti intossicati da un’ideologia insinuante e pervasiva. Tutti gesti coraggiosi che le costarono la persecuzione, il carcere e la sospensione dall’incarico: il 17 aprile 1937 la polizia le piombò in casa, sequestrò dei materiali sospetti e ne decretò l’arresto. Sua compagna di prigionia sarebbe stata l’amica Graziella Sechi, con la quale trascorse in cella i trentanove terribili giorni in cui si avvicendarono la sospensione dall’insegnamento, il bando dalla vita pubblica e addirittura la proposta per il confino, perché accusata di attività antinazionale. In questa “quaresima politica” le venne anche impedito di incontrare il marito, l’antropologo Raffaello Marchi, sposato nel 1935 in ossequio a formalità sociali che né lui né lei, nel loro anticonformismo, avvertivano come proprie. Era stato però necessario legarsi in quel modo per silenziare lo scandalo di quel rapporto così diverso e sopra le righe, fatto di amore e amicizia per uno spirito a lei così affine, e che se avesse potuto l’avrebbe portata via con sé nella Capitale, dove aveva studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia. La presenza di “Lelio”, con cui nel 1947 avrebbe fondato la rivista di cultura sociale “Aristocrazia”, fu per Mariangela Maccioni un sostegno pari alla lettura dei lirici latini, dei filosofi francesi e dei trattati di storia delle religioni orientali. Più importante, per certi versi, dei risarcimenti pubblici che seguirono la caduta del regime, quali l’affidamento della direzione della Biblioteca Sebastiano Satta e la riammissione al servizio dalla Commissione alleata di controllo nel 1944.
Da principio simpatizzante per il Partito Sardo d’Azione, ma alla lunga insofferente nei confronti delle catene ideologiche, “la maestra resistente” (come tutti ormai la chiamavano) aderì al Movimento Cristiano per la Pacee poi, nel 1948, si candidò nella lista del Fronte Popolare: questo comportò l’esclusione dai sacramenti, e la ferì profondamente nel suo sentimento di fede cattolica. Nel 1953, stanca e provata dalle molte vicissitudini, chiese “il collocamento a riposo” e si dedicò alla stesura della propria autobiografia, a cui diede il titolo Il mio romanzo. La mia famiglia, più simile, in effetti, a un racconto corale sullo sfondo della profonda crisi della Sardegna nella prima metà del Novecento, bene esemplificata dalle vicende tragiche dei fratelli; un lavoro rimasto purtroppo incompiuto a causa della morte che la colse improvvisa a poco meno di settant’anni, e pubblicato postumo dopo che il marito ebbe affidato il manoscritto a Luisa Selis Delogu nel 1979.
Pare che la sua casa di via Barisone fosse sempre piena di fiori, e addirittura che il giorno dell’arresto, coincidente per crudele fatalità con il suo quarantaseiesimo compleanno, la polizia la sorprese sull’uscio con un mazzo di rose, regalo di un’amica per la ricorrenza. Così, non è stato forse un caso se, nel ricordarla sulla rivista “Il Ponte” a un anno dalla scomparsa, l’amico Salvatore Cambosu abbia voluto usare una similitudine botanica, quando scrisse che in lei c’erano “la forza e la gentilezza antiche dell’ulivo”: la pianta – la più resiliente – della pace, ovvero dell’unica condizione capace di generare cultura e dare battaglia contro ogni forma di regresso e di non verità.
Bibliografia essenziale
- M. MACCIONI, Gente di Nuoro e dintorni, Nuoro, Video Memory, 1998;
- M. MACCIONI, Memorie politiche, a cura di Raffaello Marchi, Cagliari, Edizioni della Torre; Nuoro, Istituto Superiore Regionale Etnografico, 1988;
- M. MACCIONI, Il mio romanzo. La mia famiglia, a cura di Luisa SelisDelogu, prefazione di Ignazio Delogu, Alghero,Nemapress, 1995;
- M. CORDA, L'identità culturale nuorese tra mito e storia, Volume Primo, Cagliari, Arkadia, 2010;
- Mariangela Maccioni, Marianna Bussalai, Elisa Nivola, Joyce Lussu, Cagliari, L'Unione Sarda, 2014
TAGS
Mariangela Maccioni; “la maestra resistente”; Nuoro; sa mastra; Raffaello Marchi; Fascismo; carcere; autobiografia; Il mio romanzo. La mia famiglia; Scuola Media N. 4 di Nuoro; Sebastiano Maccioni; insegnamento; politica; cultura; militanza civile; etica; morale; Scuola Normale Femminile “Margherita di Castelvì” di Sassari; Mamoiada; Orani; Scuola Normale di Nuoro; prima guerra mondiale; USA; America Latina; Australia; Roma; Firenze; via Barisone; Marianna Bussalai; Graziella Sechi; Maria Giacobbe; Sottoscrizione pro Matteotti; marcia su Roma; anniversario della marcia su Roma; Duce; Bandiera Rossa; Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma; “Aristocrazia”;poesia latina; filosofia francese; storia delle religioni orientali;Biblioteca Sebastiano Sattadi Nuoro; Commissione alleata di controllo; Partito Sardo d’Azione;Movimento Cristiano per la Pace; Fronte Popolare;Luisa SelisDelogu; “Il Ponte”;Salvatore Cambosu; Gente di Nuoro e dintorni; Video Memory; Cagliari; Edizioni della Torre; Istituto Superiore Regionale Etnografico; Ignazio Delogu; Alghero;Nemapress; Mario Corda; Arkadia; Elisa Nivola; Joyce Lussu;L'Unione Sarda