Francesco Ciusa

Tra gli artisti sardi del primo Novecento, a Francesco Ciusa va il merito di avere introdotto la scultura moderna nell’Isola, e di avere utilizzato le tecniche accademiche apprese “in Continente” per dare forma e vita simbolica al popolo sardo, alla sua storia e alle sue tradizioni. Impostosi all’attenzione nazionale e internazionale con l’opera La madre dell’ucciso, esposta e acclamata alla Biennale veneziana del 1907, da allora proseguirà con coerenza il suo personalissimo “poema plastico” della Sardegna, andando talvolta incontro alle incomprensioni della critica e del pubblico. Negli anni si dedicherà anche alle arti applicate, soprattutto alla ceramica. Amico di Grazia Deledda – che da Roma gli consigliò di non lasciare l’Isola – e di Sebastiano Satta – che nel 1910 gli dedicò uno dei suoi Canti Barbaricini, e per il quale nel 1931 disegnò il monumento funebre (oggi distrutto) – Ciusa resta uno dei primi e più significativi interpreti del desiderio di rinascita e affermazione morale e culturale di una Sardegna finalmente redenta dall’arte. Una delle cinque copie dell’opera d’esordio si trova alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, mentre un’altra è collocata all’interno della chiesetta nuorese di San Carlo nel rione Santu Predu, la stessa che, dal 1988, ospita le spoglie dello scultore, che proprio lì di fronte abitava.