Nuoro, l'Atene della Sardegna

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Tradizione

Chiamata a descrivere gli usi e i costumi del principale centro della Barbagia, una giovane Grazia Deledda – poco più che ventenne, aspirante scrittrice e non già persuasa del suo futuro da Premio Nobel – la presentò senza troppe esitazioni come «la più caratteristica delle città sarde». Città, Nuoro, lo era senza dubbio, e per statuto, dal 1836. Ma oltre all’adempimento di quelle funzioni di carattere burocratico, economico e religioso che sono tipiche degli agglomerati urbani di riferimento, a renderla un insediamento degno di nota, per questa ragazza amante della letteratura e delle arti che vi abitava alla fine dell’Ottocento, era soprattutto il peculiarissimo fermento culturale. Per questo, alle pagine della “Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane” diretta da Angelo de Gubernatis, che le aveva commissionato la ricerca, aveva consegnato un esordio destinato a divenire leitmotiv e ritornello: «Nuoro è chiamata scherzosamente, dai giovani artisti sardi, l’Atene della Sardegna. Infatti, relativamente, è il paese più colto e battagliero dell’Isola. Abbiamo artisti e poeti, scrittori ed eruditi, giovani forti e gentili, taluni dei quali fanno onore alla Sardegna e sono avviati anche verso una relativa celebrità».

A chi si riferiva, questa giovinetta ambiziosa, questa autrice ancora alle prime armi, questa futura “madre nobile” del capoluogo barbaricino? Non di certo a personaggi alteri e inavvicinabili, magari ormai lontani da un’Isola paga di avere dato loro i natali. E nemmeno doveva avere in mente figure ripiegate su stesse, ostili per partito preso a quanto il resto dell’Italia e dell’Europa potessero offrire in termini di stimoli creativi, di idee politiche, di novità culturali in senso lato intese. È da credere, poi, che tra le righe non ci fossero allusioni neanche alle menti autenticamente più “provinciali”, quelle a cui fosse estraneo – per una sorta di complesso di inferiorità e di censura auto-imposta – un sentimento dell’impegno e dell’arte orgogliosamente e finalmente regionale. Nello scrivere di quei pensatori e artisti, Grazia Deledda ne aveva ben presenti non solo i dati anagrafici e i titoli delle opere (dipinti, disegni, sculture, fotografie, racconti, versi poetici o composizioni musicali che fossero). Ne conosceva, o ne avrebbe conosciuto presto e alla perfezione, anche l’affettuosa e talora crudele nominazione caricaturale, la mimica facciale, l’ampiezza gestuale, l’intonazione vocale, il passo più o meno leggero, più o meno soave, dell’incedere fisico ed estetico. Quegli artisti – quei compagni, quei sodali, quegli amici – erano personaggi come Francesco Ciusa, primo scultore dell’epopea quotidiana dell’esistenza pastorale barbaricina, o come Sebastiano Satta e Pasquale Dessanay, poeti animati da una sincera passione civile e sociale, cantori della vita sarda attraverso scelte linguistiche familiari, orgogliosamente vernacolari; erano spiriti eclettici e curiosi, come Antonio Ballero e Giacinto Satta, allo stesso tempo scrittori, pittori e viaggiatori; erano esuli coraggiosi nel Continente Africano, come il letterato Francesco Cucca; erano musicisti talentuosi e versatili, come Priamo Gallisay, così ambizioso da volere regalare alla Sardegna il suo primo melodramma; erano pionieri delle nuove tecnologie, come il fotografo Sebastiano Guiso, maestro di altri reporter amatoriali ante litteram come Piero Pirari o Raffaele Ciceri. Una controparte creativa, inoltre, la giovane scrittrice la aveva già in famiglia, dato che la sorella minore, Nicolina, sarebbe divenuta a propria volta illustratrice e convinta sostenitrice delle arti cosiddette minori e applicate, le stesse che avrebbero dovuto aspettare i fasti del Déco internazionale a metà degli anni Venti per venire finalmente sdoganate. Una sensibilità estetica eccezionale e già tutta contenuta nello scrigno del patrimonio genetico, verrebbe da dire, espressa inizialmente tra le mura della casa paterna nel rione di San Pietro (dal 1983 Museo Deleddiano), e un intuito non di poco conto, se è vero che fu proprio Nicolina, a differenza di Sebastiano Satta e Antonio Ballero, a comprendere le potenzialità di quella scultura – La madre dell’ucciso – con cui nel 1907 Francesco Ciusa avrebbe attirato sulla Sardegna e i suoi artisti l’attenzione della critica internazionale raccolta alla Biennale di Venezia. Un sentore specialissimo per il valore capitale di quello che sarebbe stato l’inizio di un percorso compiuto nei decenni a venire da un intero popolo: il principio di un riscatto identitario troppo a lungo atteso.

Nella Nuoro della Belle Époque, tutto questo accadeva e si compiva nella quotidianità delle case private, degli studioli e dei ritrovi comuni, anche mondani – come il Caffè Tettamanzi, sede deputata di una “profana” e pubblica conversazione rigorosamente al maschile. Era soprattutto qui che si ritrovavano gli artisti e gli intellettuali di punta: proprio loro, che già avevano la ventura di abitare o lavorare quasi tutti raccolti in un pugno di strade e stradine diramate dall’antica via Majore, l’attuale corso Garibaldi. E le notizie, dalle più alle meno importanti, viaggiavano non solo attraverso la vox populi (e talora la maldicenza) del borgo, adagiato alle pendici di un monte, come l’Ortobene, che avrebbe potuto ben dirsi un Parnaso barbaricino, date le molte Muse in circolazione. Sia i quotidiani che le riviste diffondevano nella regione e nel resto della Penisola quanto di artistico vi accadeva o si preparava ad accadere; un altro pensatore nuorese, Attilio Deffenu, destinato a morire eroicamente e nel fiore degli anni nel corso della Grande Guerra, avrebbe addirittura provato, dalla sua residenza milanese, a farsi raccoglitore e propagatore delle riflessioni e dei contributi degli spiriti più eletti dell’Isola, dando vita a una pubblicazione che ne avrebbe portato con fierezza il nome – “Sardegna!” – con tanto di esclamativo finale nel suo primo numero del 1914.

Sardegna, Mario Delitala

Innovazione

L’importante eredità storica e culturale di questo periodo di irripetibile tumulto all’interno di una città (e di una regione) comunque economicamente disagiata, caratterizzata da una rigida divisione in classi, scossa dalle idee politiche socialiste e poi progressivamente rivoluzionarie e autonomiste, sarebbe stata portata avanti nel corso di tutto il Novecento da numerose altre personalità, nate a Nuoro o nei paesi limitrofi, formatesi nell’Isola o “in Continente”. Figure emigrate, magari anche molto lontano, salvo poi restituire periodicamente una rielaborazione personale di quel repertorio interiore di riti e miti identitari da sempre oggetto di meditazione: come gli scultori Salvatore Fancello, dorgalese atteso da una morte troppo precoce sul fronte albanese nel corso del secondo conflitto mondiale, e Costantino Nivola, oranese approdato negli USA nel 1938 in seguito all’emanazione di quelle leggi razziali che resero impossibile a lui e alla moglie Ruth, ebrea, la permanenza in Italia. Ma anche personalità più tormentate, impegnate in peregrinazioni lavorative regionali o internazionali, allontanatesi e poi ritornate scientemente proprio al “centro” più nero e malato di quella “Atene”, con l’esigenza di esprimere una riflessione critica sul suo tempo inteso nelle tre dimensioni (passato, presente, futuro): un pensiero ora accompagnato da una proposta desiderosa di rinascita e rinnovamento – come sarà negli scritti neorealisti del secondo Novecento dell’orotellese Salvatore Cambosu – ora da una condanna senza appello e talmente impietosa da essere foriera di scandalo – come fu per Il giorno del giudizio del giurista Salvatore Satta, alla sua pubblicazione nel 1977. Una “Atene della Sardegna” madre ma, dunque, anche matrigna, sempre capace di far pensare, discutere, addirittura dividere. Allora come un tempo. Adesso come nel passato più recente. Un groviglio di fili da sciogliere, separare, dipanare e riavvolgere in relazione a se stessi come cittadini della Barbagia e del mondo: sia tramite un impegno esposto, pubblico e istituzionale – come quello degli avvocati e politici Pietro Mastino e Gonario Pinna –, sia in una dimensione più privata, quasi domestica, ma non meno capace di incidere e intagliare il tronco di un albero unico e dai molti anelli – come dimostrano i casi tutti nuoresi della pittrice Francesca “Pupa” Devoto e dell’eclettico Giovanni Antonio Sulas, “anime salve” (ovvero tendenzialmente solitarie) votate alla ricerca dell’arte e del bello, ma in contatto con tutto ciò che di nuovo e moderno potesse offrire il dibattito del “secolo breve”, senza mai lasciare una Nuoro e una Sardegna soggetta a una trasformazione sempre più ingestibile, sottoposta alle logiche di un progresso (e di un profitto) etero-imposto ed etero-diretto, e talora dolorosamente irriconoscibile.

Nel pieno della Belle Époque, a pochi decenni dall’Unità d’Italia e a molti meno anni dall’avvento di quel Novecento che l’avrebbe vista lasciare per sempre Nuoro per Roma, la giovane Grazia Deledda non ha dubbi: in quel momento di speciale agitazione intellettuale e di copiosa produzione artistica che percepiva nella sua città natale, questa le appare come «il cuore della Sardegna», anzi «la Sardegna stessa con tutte le sue manifestazioni», nonché «il campo aperto dove la civiltà incipiente combatte una lotta silenziosa con la strana barbarie sarda, così esagerata oltre mare». Oggi, nelle specificità di un altro snodo temporale quale l’inizio del XXI secolo, la città può guardarsi indietro e, nel contempo, continuare a ritrovarsi in un confronto tra questa immagine del suo “ieri” e l’attuale “stato dell’arte”: un parallelo che non le negherà vivacità pulsante, spirito critico e desiderio di apertura – oltre, molto oltre quei flutti che al tempo rappresentavano una barriera, liquida ma opaca, tale da fomentare stereotipi e miti, suscitare reverenza e fascinazione, emanare pregiudizio e mistero. L’eredità magnetica di quella gioia di essere nel mondo – come nuoresi, come barbaricini, come sardi – fatta propria dai primi narratori e illustratori dell’Isola, si ritrova parimenti, evidentemente e necessariamente mutata e aggiornata, nelle opere degli artisti, degli scrittori, degli intellettuali contemporanei, e in tutte quelle esperienze imprenditoriali, in quelle istituzioni, in quei musei e in quegli appuntamenti culturali che si pongono dichiaratamente nel solco tra tradizione e innovazione, tra locale e globale.

L’esigenza di dare una forma libraria concreta, coerente e coesa alla ricchezza del dibattito e della ricerca (anche accademica) in Sardegna e sulla Sardegna, insieme con l’esistenza di una patrimonio letterario fatto di romanzi, racconti e saggi, ha fatto sì che negli ultimi decenni del Novecento nascessero ex novo delle realtà editoriali ad hoc – quali la Soligraf (dal 1977; poi Arti Grafiche Solinas dal 1999), la Ilisso (dal 1985) e Il Maestrale (dal 1992) – volte non solo a promuovere nuovi autori e nuovi argomenti, ma anche a pubblicare edizioni critiche aggiornate e filologicamente curate di opere imprescindibili per una biblioteca che volesse definirsi a tutti gli effetti “sarda”; dunque con un privilegio per i contributi riguardanti la storia, le tradizioni, gli usi e costumi e il patrimonio archeologico e storico-artistico del territorio, con cataloghi che hanno annoverato gli esordi narrativi o poetici di alcuni tra i più importanti scrittori sardi viventi, come il nuorese Marcello Fois. Proprio l’autore di Nulla (1997) – quella «specie di Spoon River» debitrice tanto di Edgar Lee Masters quanto del già citato capolavoro di Salvatore Satta – è stato a sua volta, all’inizio degli anni Duemila, tra i fondatori e i promotori del Festival della letteratura “Isola delle Storie”, che di edizione in edizione conferma il piccolo paese di Gavoi come crocevia internazionale dell’espressione in prosa e in versi e ora anche della ricerca nelle arti visive.

Ma a rappresentare con efficacia questa pluralità di vocazioni e di anime, grazie alla varietà delle collezioni e delle direzioni artistiche, è soprattutto l’offerta museale. A partire dal Museo della vita e delle Tradizioni popolari sarde (noto più sinteticamente come Museo del Costume) che, dalla sua costruzione sul colle di Sant’Onofrio di Nuoro tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e fino al più recente processo di ristrutturazione e riallestimento, ha custodito i beni e i segni della cultura materiale e immateriale dell’Isola; in questo compito, inoltre, è stato adiuvato dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE), nato nel 1972 e da allora attivo nella tutela e nello studio del patrimonio con una pluralità di iniziative di successo, come il nuovo festival IsReal (Festival di cinema del reale, inaugurato nel 2016) e la rassegna biennale Sieff (Sardinia International Ethnographic Film Festival, dal 1982), già “palestra” di registi come il dorgalese Salvatore Mereu e il cagliaritano Paolo Zucca. Sempre a Nuoro, in un palazzo ottocentesco appartenuto a Giorgio Asproni e affacciato sull’omonima piazza, vi è poi il Museo Nazionale Archeologico, che custodisce reperti provenienti dal territorio della provincia storica del capoluogo pertinenti a un arco cronologico compreso tra il Paleolitico e il Medioevo. Attiguo ad esso, e attivo sino al 2014, il Museo TRIBU. Spazio per le arti, locato laddove un tempo sorgeva il vecchio Tribunale, di fianco alla Cattedrale di Santa Maria della Neve, che dal 2010 non solo ha dato una sede permanente alle sculture e ceramiche di Francesco Ciusa – con l’istituzione dell’omonimo Museo in seguito a un’importante mostra dei grandi gessi dell’artista nel 2005 – ma contemporaneamente e progressivamente ha esposto nelle altre sale le opere di quei pittori, illustratori e fotografi sardi del Novecento che la critica andava finalmente a riscoprire, storicizzare e canonizzare; un’operazione di alto profilo, che anche in virtù della gestione pluriennale da parte della casa editrice Ilisso ha fatto in modo che la letteratura dell’arte sarda si arricchisse di cataloghi, monografie e studi divenuti punti di riferimento per ricercatori e amatori. Per conservare i capolavori degli artisti isolani del XX secolo era nato nel 1999 anche il Museo MAN, divenuto nel tempo centro privilegiato per la ricerca contemporanea, con significative aperture anche nei confronti degli esponenti locali delle generazioni più giovani. Una linea guida condivisa dal 1966 agli anni Novanta anche dalla Galleria Chironi 88, nata per iniziativa di Alessandra Piras, che per tre decenni è stata una vetrina pionieristica nel cuore di una Barbagia a rischio di involuzione culturale, punto di riferimento espositivo per tutte le personalità orientate oltre il figurativo tradizionale e più sensibili ai fermenti avanguardistici (da Giovanni Nonnis a Gino Frogheri a Maria Lai).

La stessa ricchezza e varietà si riscontrano anche nel panorama museale della provincia, in cui convive una pluralità sinergica di realtà espositive ciascuna in linea con le eredità e le specificità locali: come il Museo delle Maschere Mediterranee e il MATer (Museo Multimediale dell’Archeologia e del Territorio) a Mamoiada; il Museo Archeologico e il Museo Civico “Salvatore Fancello” a Dorgali, cui fa da corollario il vicino Acquario di Cala Gonone; e ancora il Museo Nivola a Orani, che pur esponendo un’ampia collezione di opere del “suo” Costantino/Antine/Tino ospita periodicamente residenze di artisti stranieri.

Nuoro veicola le voci e le espressioni di tutti, dei “suoi” e dei suoi “ospiti”, le diffonde, le amplifica, le modula e le accompagna con sonorità e armonie talmente antiche da essere all’avanguardia: così, anche l’Ente Musicale di Nuoro, fondato dalla cantante nuorese Antonietta Chironi nel 1987, può promuovere ogni estate da più di venticinque anni i Seminari di Jazz e il Festival Internazionale Nuoro Jazz, che richiamano, prima nelle aule scolastiche e poi per tutta la città, gli studenti e le giovani promesse del panorama sardo e italiano e i più importanti musicisti di livello internazionale, tra cui il polistrumentista nuorese Gavino Murgia oltre che il trombettista berchiddese – e per cinque lustri direttore artistico – Paolo Fresu. E ovviamente un pubblico di appassionati, transgenerazionale, di volta in volta sempre più esperto e attento. In ascolto. Lo stesso altrettanto presente al Teatro Eliseo, edificato all’inizio degli anni Quaranta e recentemente restituito, dopo il restauro, alla vita culturale cittadina, e la cui presenza suggerisce un’altra delle anime del capoluogo e della provincia, ovvero quella delle arti della scena, che da anni vede attive, in sedi istituzionali e non, compagnie di riferimento come Bocheteatro (a Nuoro, dal 1988) e i Barbariciridicoli (a Ottana, dal 1993).

La decadenza che seguì l’età di Pericle, che offuscò gli splendori della Grecia del V secolo a.C. e che la stessa “Atene della Sardegna” ha naturalmente vissuto, secoli e secoli dopo e a fasi alterne nel suo complicato attraversamento del Novecento, può dunque porsi, nell’impegno concreto e appassionato del presente, come lo spettro o il monstrum storico di ciò che non si vuole (più) essere, né nelle intenzioni né nelle apparenze, allo sguardo proprio o altrui: se mai la sua “Acropoli” è stata ridotta a rudere, Nuoro – insieme con il Distretto Culturale – continua oggi a costruire i suoi edifici di sapienza, riflessione e alta divulgazione, e invita il mondo a divenirne, più che spettatore, comprimario.

Bibliografia essenziale

  • G. DELEDDA, Raccolta delle tradizioni di Nuoro, in “Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane”, Roma, 1895; poi Tradizioni popolari di Nuoro, Milano, 1895; Nuoro, Il Maestrale, 1994; Nuoro, Ilisso, 2010;
  • S. SATTA, Il giorno del giudizio, Padova, CEDAM, 1977; Milano, Adelphi, 1979; Nuoro, Ilisso, 1996; Nuoro, Il Maestrale, 2006;
  • E. CORDA, Storia di Nuoro. 1830-1950, Milano, Rusconi, 1987;
  • E. CORDA, Atene Sarda. Storie di vita nuorese. 1886-1946, Milano, Rusconi, 1992;
  • M. CORDA, Corso Garibaldi. Frammenti di cultura nuorese, Nuoro, Il Maestrale, 1994;
  • G. PITITU, Nuoro nella Belle Époque, Cagliari, Edizioni AM&D, 1998;
  • M. CORDA, Elogio del Microcosmo. Saggi di cultura nuorese, Milano, Mondadori, 2001;
  • F. MASALA, Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ‘900, Nuoro, Ilisso, 2001;
  • M. CORDA, L’identità culturale nuorese tra mito e storia, volume primo, Cagliari, Arkadia; 2010;
  • M. CORDA, L’identità culturale nuorese tra mito e storia, volume secondo, Cagliari, Arkadia; 2011;
  • M. CORDA, L’identità culturale nuorese tra mito e storia, volume terzo, Cagliari, Arkadia; 2012
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